Nell’anno dei trenta (6)

Ho iniziato a stare in pensiero.

È un mese quasi che la terra sotto all’Emiglia sta scomoda* e nel giorno immediatamente successivo alla prima volta in cui si è girata rumorosamente nel letto, mi sono venute in mente tutte le persone che conosco, che ho conosciuto, quelle con cui parlo tutti i giorni e quelle che non vedo da anni. Sono tanti e abitano tutti in Emiglia, da Bologna in su. E mi ricordavo i nomi di tutti, anche di quelli che non vedo da anni e che ho visto magari due volte in vita mia.
Sono tante. Sono più di quelle che conosco al mio paese: che strano, ho pensato.
Poi ho pensato che non doveva essere così strano, in fondo, perché in Emiglia ci sono stata tanti anni, ci ho vissuto e ci volevo pure rimanere, ci sarei rimasta volentieri. Lo dico sempre.
A quest’ora chissà dove sarei, ho pensato. Con quali di loro sarei.
Poi ho pensato che magari sarei stata a Bologna e a Bologna stanno tutti bene, anche le case, quindi molto probabilmente sarei stata bene anche io. Ma chissà, non si può mai dire.
Chissà in quale casa avrei abitato, ho pensato.

Ho iniziato a stare in pensiero; e mica mi passa: probabilmente si comincia così, da una parte sola, a stare in pensiero e non si smette più, solo che si pensa sempre a cose diverse o a più cose insieme: la casa, il mutuo, la famiglia, i gatti, i cani, i genitori, i parenti, gli amici, i cugini, le città, le case, i palazzi, i campanili, gli orologi, le campane, i terrazzi, le botti di vino, le botti di olio, le botti di aceto, le sedie, i telefoni, la fatica, le torte, gli occhi chiari, i sorrisi strizzati, il dolore, la morte, l’allegria.
L’Emiglia.

***
* È una citazione, è della Cate. È una delle due cose più belle che ho letto sul terremoto.