A quattro mani, a due voci e con un corpo

Ieri pomeriggio ero al Meme, a Carpi, a leggere questo, tra le altre cose:

Uff.
Cominciamo bene, cominciamo.
Oddio.
Non ti spaventare.
Ah no? Sei un fantasma, mi appari da dietro e non dovrei spaventarmi?
Non sono un fantasma, i fantasmi non esistono.
Oddio. Non dovevo bere quel goccio prima.
Da quando bevi di mattina? Non è una buona abitudine, Jonat…
Ma porca boia, che fai qua? Continui a parlare? Che sei? Un’allucinazione?
No.
Allora che sei?
Smettila di strabuzzare gli occhi a quel modo. Stai sudando. E mi
sento a disagio.
Ah, tu ti senti a disagio? E io?
Non dovresti.
Ah no?
No.
Ma dico, sto parlando con un fantasma. Non ti parlo più, non è sano. Ora mi giro e torno a guardare il parco, ad aspettare che arrivi la gente.
Non. Sono. Un. Fantasma. I fantasmi non esistono.
E cosa saresti?
Non so, non so come mi vedi.
In carne e ossa ti vedo, ma se mi chiedi di toccarti non ti tocco: te lo dico.
Non vorrei che mi toccassi, stai tranquillo.
No, non sto tranquillo.
Oh, senti. Mi hai chiamato tu. Vedi di darti una calmata, respira, e di’: che vuoi?
Ok, ti tengo il gioco, magari passi. Niente. Son qua come tutti gli altri. Che c’è, non potevo?
Ah be’, anche se mi dispiacesse, non ve ne fregherebbe nulla. Io non la volevo questa cosa qua.
Sarà che adesso uno non può andare dove gli pare e organizzare cosa gli pare.
Mah. Ci saranno le solite facce.
Non sei contento, fantasma?
Sì. No, non so. Non sono un fantasma.
Sì o no?
Forse no. Mi sarebbe piaciuto stare a casa oggi.
Secondo me a casa tua non ti ci vuole nessuno, oggi.
Non dire così, ti prego.
Scusa, non volevo. Non posso pensare tu sia vero.
Non sono vero, sono morto, come faccio ad essere vero. Ma non sono nemmeno un fantasma.
E cosa sei?
È così importante sapere cosa sono? Sono io.

***

Adesso ridi?
Be’ sì, sono emozionato, contento.
Ah-ah, no: non puoi abbracciarmi. Fermo lì.
Ok, scusa.
Non volevi una veglia?
Una veglia? Di mattina? No.
Eddai.
No, davvero. Ma che fate qua oggi? Non ho ben capito.
Si legge, si sta in silenzio. Un’oretta e finisce tutto.
E se piove?
Ho l’ombrello.
E se non viene nessuno?
Figurati.
Be’, perché? È mattino. La gente ha da fare al mattino.
Be’ meglio: così te ne vai prima, no?
Stanno davvero bene tutti? Anche i cani?
Bene sì.

***
Che hai lì?
Ripasso.
Cosa?
Il discorso.
Devi parlare?
Eh.
Non me l’avevi detto che dovevi parlare.
Eh, sì. Me l’ha chiesto Arthur.
Gran ragazzo, Arthur: mi pensa ogni anno.
Tu come lo sai?
Ah non te l’ho detto? Sono tre anni che leggo nel pensiero, ma non posso intervenire sempre, non ho ancora ben chiaro da cosa dipende che io possa o meno intervenire. Tu, per esempio, oggi tu mi hai chiamato. Non so più scrivere ma so leggere nel pensiero. E poi non tutto: solo i pensieri peggiori, deve essere qualche legge del contrappasso. Davvero non te l’avevo detto?
No. Sai com’è, sono tre anni che non ci sentiamo.
Infatti non so come mai proprio oggi ci stiamo sentendo.
Forse per via di questo discorso.
Cioè?
Ci sono delle “xxx” a un certo punto. Non so che dire. E ho pensato: “Maledetto a lui!”
Non può essere per questo. I pensieri che mi invocano devono essere molto brutti e soprattutto devono inglobare il mio nome.
Allora è per stamani. Mentre mi facevo la barba mi sono tagliato e ho imprecato contro di te.
E perché, scusa? È colpa mia se ti tagli?
No, però pensavo a queste tre x e quindi è colpa tua.
Senti però, anche tu, devi parlare fra un’ora e non sai che dire?
Non è da te.
Non ti sopporto quando dici “Non è da te”. Tu che diresti?
Non so che cosa hai scritto.
Le solite cose.
Non è una buona definizione.
No, lo so, ma me ne sono accorto adesso che mi hai fatto questa
domanda.
Non ho capito.
Mi hai chiesto cosa ho scritto.
No, io ho detto di non sapere cosa hai scritto, è diverso.
Be’, ok, non vuoi saperlo?
No.
Ok. Al posto di quelle tre x ci metto: Pensavo di sapere sempre cosa gli passava per la testa ma non era vero.
Ci sono problemi di concordanze verbali.
No.
Sì. “Pensavo di sapere sempre cosa gli passasse per la testa.”
No: io ero convinto, quando eri vivo, intendo.

***

Comincia ad arrivare gente.
Lo sapevo.
Uh, ecco Arthur. È diventato un bel ragazzo.
Sì.
Non l’avrei detto. Avrei detto che Seth sarebbe stato un bel ragazzo invece guardalo lì com’è ingrassato. Come stanno?
Non ne ho idea.
Ah no?
No, non mi guardare così: non mi interesso a tutti i tuoi studenti, non li conoscevo nemmeno.
Giusto.
Poi scusa non dovresti saperlo tu che cosa gli passa per la testa?
Eh no, ti ho detto: si vede che non hanno brutti pensieri, perché i loro pensieri non mi arrivano mai. I tuoi invece…
I miei invece cosa?
Eh, i tuoi sono brutti spesso.
Scusa.
No, non devi scusarti. Ti voglio molto bene anche per questo. Non sentivo di dovermi nascondere.
Io facevo una gran fatica.
Ah sì? Non si capiva.
Sì, soprattutto perché desideravo sembrarti brillante sempre, soprattutto negli ultimi periodi, invece l’angoscia mi attanagliava. Una volta ho detto a tua moglie, me lo ricordo bene, eravamo al telefono e io ero al telefono della cucina, in disparte. Cosa ridi?
Il telefono della cucina è una delle cose che meno concepisco degli americani.
Come se tu fossi canadese. Voi non ce l’avete il telefono in cucina?
No.
Ah.
Comunque scusa non volevo interromperti.
Come no.
No, davvero, stavolta no. Cosa hai detto a mia moglie?
Le ho detto: Sai, ultimamente quando lo vedo mi sale l’angoscia.
Si vede, mi ha risposto lei e io allora mi sono sentito male, ho pensato che anche tu te ne fossi accorto.
No, mai. Ma Karen è molto più intelligente di me.
Devo andare David.
Perché mi hai chiamato, Jonathan?
Non lo so; giuro: non lo so. Ho imprecato contro di te, sarà per quello.
Cosa ci metterai al posto delle x?
Una cosa tipo: Pensavo di sapere sempre cosa gli passasse per la testa, ma era pressoché impossibile, soprattutto nell’ultimo periodo.
È difficile farsi un’idea opportuna…
Opportuna?
Eh.
Cioè?
Giusta. Nel senso di giustizia. Opportunamente realistica. Fammi finire.
Ok, scusa.
Dicevo: È difficile farsi un’idea opportuna dei suoi pensieri, anche adesso che sono finiti e questa cosa è difficile da sopportare per uno come me. Si fa fatica a trattarlo come uno normale con una gran testa che ragiona un passo prima di tutti e sopra gli altri o come un debole con un grande genio verbale o come un disperato. Chissà perché. Nella maggior parte delle sue foto, per dire, non ha l’aria né del disperato né del debole. Né tantomeno del genio incontrollabile. La disperazione, non so perché, con quelli come lui ogni tanto si racchiude dentro un feudo inaccessibile, diventa un dogma perdonabile e si tinge troppo d’oro all’occorrenza. Si fa presto a fare gli altari della devozione all’intelligenza, soprattutto se non si può più metterla in discussione.
Sei arrabbiato? Ecco perché mi hai chiamato. Come finisce?
Così: Che rabbia. Oggi è 12 settembre: ci dovrebbe regalare una foto terribile, macchiata, una parola uscita male, uno sguardo superficiale, per compensare, per renderci più necessari. Lui lo era e lo sarebbe ancora.
Passo da casa, Jon.

È quello che ho scritto per Prospektiva n.54, il numero sul falso su cui ho già detto qualche tempo fa, quando è uscito. Non vi avevo detto cosa avevo scritto, però. Il falso sta nel fatto che non c’è niente di vero, tranne i nomi.
Non si dice, almeno: non si dovrebbe mai dire, lo sanno quelli bravi, ma questo pezzo è nato per sbaglio, doveva essere una cosa sul cinema, un dialogo come quelli che metto qua spesso, fra Buster Keaton e Charlie Chaplin, ma poi il dialogo fra Chaplin e Keaton è finito dentro spellicolaggini 2011, era fine settembre, e allora mi è venuto da scrivere questo. Ieri l’ho letto ad alta voce con Fabrizio  – ho iniziato io – e sono stata molto contenta.

Due settimane fa è uscito su Personal Report una sorta di giro panoramico su Cowbird, l’ho scritto con Jacopo, cioè: lo ha scritto più lui di me, ma ci tenevo a dirlo.

Sempre la settimana scorsa, poi, è successo che ho finito il mio seminario di lettura espressiva, si chiamava proprio così, al Campo Teatrale di Milano. C’è un corpo, il mio, che deve ancora crescere, ho scoperto: gira e rigira il problema è sempre lì; magari un giorno ve lo racconto meglio, ma il succo è: fate un seminario di lettura espressiva, se vi capita, se non costa troppo, con qualcuno che vi aiuti a stanarvi dalla cuccia, potrebbe venir su una cattedrale.

No ma sto bene: ci tenevo a farvelo sapere.