Untitled

A un certo punto, non è stato più naturale: non era più certo che avrei trovato la tua mano anche senza guardare. Il tuo palmo era diventato comune agli altri. Toccavo il mio, strofinavo forte e mi facevo male: pur scavando, non trovavo il tuo. Ho pensato di tagliarti la pelle piano, di renderti almeno un po’ di tutta la pena che mi stavi procurando. Mentre ti pungevo fino a farti gridare, a un certo punto, mi sei sfuggita di mano, ho creduto di non riuscire a sollevarti, poiché stavi cadendo: io ti ho vista, ma non ho fatto nulla.

Ti ho lasciato scadere, per un po’.

A un certo punto, però, ho sentito il dolore fisico quietarsi: scavare nei nervi e nelle vene era diventata abitudine. Non faceva più così male. Non era più così forte. Non mi faceva più gridare e la mia mano piegata e indolenzita, mi è sembrato di non poterla più usare. L’avrei lasciata rattoparsi, dentro una tasca di un pantalone qualsiasi, senza fartela più vedere, scoprendola solo di notte e lentamente, sporca e consumata, prima di dormire.
Ho stretto gli occhi ogni tanto pensando a quanto fosse diventata sottile e inutile. Con quella mano ho toccato il cuscino accanto a me piano, schiudendo una carezza nella sagoma invisibile dei tuoi capelli, , per sperare di rimanerci impigliato.

Stanotte ti sono venuto a cercare. Ti ho intravisto e camminavi silenziosa, con la mano spalancata, sotto una luce verde di un neon che bisbigliava lungo le righe delle tue dita. Vedevo il tuo braccio controluce e ti muovevi così lenta che ti ho raggiunta.

Prenderti di nuovo per mano non è stata cosa semplice.