Undici soltudini

Solitudine uno
Il dottor Geco.

“Arrivò presto e si sedette nell’ultima fila, il busto eretto, i piedi incrociati ordinatamente sotto il banco e le mani serrate a pugno al centro di esso, come se la simmetria lo aiutasse a dar meno nell’occhio”
We have all the time in the world, Louis Armstrong.

Solitudine due
Tutto il bene possibile.

“Per tutto l’autunno e l’inverno Grace era rimasta incerta. Per un po’ di tempo aveva provato a uscire solo col tipo di uomini che piacevano a Martha, quelli che usavano sempre la parola “spassoso” e portavano abiti di flanella, stretti di spalle come un’uniforme.”
Parklife, Blur.

Solitudine tre
Jody ha il coltello dalla parte del manico.

“Eravamo tutti commossi, penso; io almeno lo ero. Reece non si era mai espresso con tanta simpatia nei nostri confronti. Ma era troppo tardi, e la nostra sensazione predominante era di sollievo.”
Sing sing sing, Benny Goodman.

Solitudine quattro
Nessun dolore.

“Il resto della vita passò così.” C’è un marito che sta male in ospedale e ci rimarrà per non si sa bene quanto. C’è una moglie che lo guarda quasi con pena e si sente in colpa di dover continuare a fare delle cose. E sembra iù felice lui dentro che lei fuori. Dovrei citarlo tutto, non posso.
Two tongues, The Swell Season.

Solitudine cinque
Una gran voglia di punizione.

“A nove anni Walter Henderson era convinto, e con lui molti suoi amici, che morire fosse l’esperienza più emozionante del mondo.”
Inheritance, Talk talk.

Solitudine sei
Contro i pescicani.

“In questa maniera eravamo stati ingaggiati tutti noi, sei o otto redattori, che quell’inverno faticavamo sotto le livide luci al neon della Voce. Nessuno di noi faceva segreto del suo intento di trovare un posto migliore”
Alle prese con una verde milonga, Paolo Conte.

Solitudine sette
Il regalo della maestra.

“Non sembrava mai perdere la pazienza, ma sarebbe stato meglio la perdesse, perché era proprio il tono piatto, asciutto e senza slanci dei suoi rimproveri che la rendeva insopportabile.”
School Day, Chuck Berry.

Solitudine otto
Il mitragliere.

“Nella sua mente esaltata e offuscata dalla birra, già immaginava come sarebbe stato quando l’avrebbe accompagnata a casa, come avrebbe reagito al contatto delle sue mani nell’oscura intimità del taxi, e come sarebbe stata più tardi, nuda e sinuosa, in qualche non meglio identificata stanza da letto al termine della serata. E non appena si girò con le braccia lazate, Fallon la strinse a sé forte e con calore.”
Brother, my cup is empty, Nick Cave And The Bad Seeds.

Solitudine nove
Un buon pianista di jazz.

“Quel sabato Carson non andò a Cannes perché non era riuscito a concludere come voleva la storia con la svedese. Si era aspettato scene di pianto, o perlomeno un coraggioso scambio di tenere promesse e sorrisi, e inceve lei accolse con strana, sorprendente indifferenza l’annuncio che lui se ne andava…”
 When I Fall In Love, Nat King Cole.

Solitudine dieci
Abbasso il vecchio.

“Il Padiglione Sette era un mondo a sé stante, che offriva quotidianamente una scelta tra un tipo di virtù – stare a letto – e un suo tipo di vizio – la partita a dadi a mezzanotte e l’acquisto clandestino di birra e whisky attraverso le uscite di sicurezza delle due latrine.”
Apartment Story, The National.

Solitudine undici
Costruttori.

“E dove sono le finestre? Da dove entra la luce? Bernie, vecchio amico, perdonami ma per questa domanda non ho la risposta. Non sono neppure sicuro che questa particolare casa abbia le finestre. Forse la luce deve cercare di penetrare come può, attraverso qualche fessura, qualche buco lasciato dall’imperizia del costruttore. Se è così, sta’ sicuro che il primo a esserne umiliato sono proprio io. Dio lo sa, Bernie, Dio lo sa che una finestra ci dovrebbe essere da qualche parte, per ciascuno di noi.”
There There, Radiohead.

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Gli undici pezzi sono tratti dagli altrettanti racconti della raccolta Undici solitudini di Richard Yates. (Traduzione italiana di Maria Lucioni, ed. Minimum Fax, 2006.)