Finestre

Stamattina pensavo a come sarà dormire da solo e non sono riuscito a immaginare di dormire da solo; sono finito a farmi il caffè, per provare a svegliarmi, stamattina, pur di non continuare a dormire da solo.
Io, senza nessuno. Non è mai successo, mi ripetevo, io da solo non so stare, continuavo mentre mi grattavo la testa, io da solo non riesco proprio a chiudere gli occhi e dormire, mi verrà l’insonnia, già lo so, aggiungevo, se comprassi un letto a una piazza magari, ma così, con lo spazio lasciato a un lato, le lenzuola, i letti si abituano alle persone, sai? ti parlavo, si piega il materasso, anche se tu non pesavi mica poi così tanto.
E quasi ti vedevo riflessa nel vetro.
Quando ti ho pensato stamattina, immaginavo nulla di diverso rispetto a quello che ho davanti: la macchina del caffè, i fornelli, il frigo che fa un ronzio strano da quasi sei mesi e i foglietti con le cose da comprare, sempre le stesse da settimane, comprate, finite e ricomprate, attaccati allo sportello dove scolano i piatti.

I miei piedi stanno fermi: la strada verso di te la posso indicare, ci posso mettere anche le automobili, posso fare il traffico, la velocità, il tempo, posso costruire tutto, eccetto le mie impronte: quelle non ci sono, quelle non si muovono e restano qui, accanto alle cose da ricomprare. Ecco: ci aggiungo scarpe all’elenco, mi compro un paio nuovo oggi al mercato, da consumare, con i lacci da legare stretti per non lasciarle più sotto al letto. Perdo sempre dieci minuti al mattino prima di uscire solo per cercare le scarpe.

Non ti verrò dietro, no, un corpo che si ribella perché non ti correrà incontro la prossima volta, l’avresti mai pensato? Sei indispettita, vero? Non ti vedrò e ti immaginerò ogni giorno alla tua finestra, che poi è uguale a questa  nella mia mente, non metto su di te nemmeno un po’ della mia fantasia, non lo so com’è la tua nuova finestra, prendi il caffè davanti al computer e vedo la tazzina, non il bicchiere, lo vedo amaro, non con il latte e si formano così i miei ricordi sbagliati. Non sono proprio ricordi, ma immagini nuove di te che non esistono, ma sono le mie, tutte mie; a questo ti relego: a un ricordo sbagliato senza fantasia.

Rimane solo il singhiozzo da mandare via, però. E quello lo ingoio, ogni tanto, così passa prima e rimbomba in pancia. Se mi pensi, singhiozzo, lo so che è colpa tua. Come lo so? È che mi pensi poco spesso e io non singhiozzo sempre, il mio corpo se ne accorge, sa di avere qualcosa in più da tirare fuori come uno sputo, ma più raffinato, come una sorpresa, ma meno bella, come un acuto, ma più sguaiato e singhiozzo, malamente e goffo. Quando mi pensi tu, mi esce uno schiocco dalla bocca se sto parlando oppure mi scoppia una bolla in gola e muovo le spalle come se mi arrivassi da dietro a farmi spavento o darmi un bacio, che poi è lo stesso, bevo tutta l’acqua che c’è sul tavolo per farti passare. I singhiozzi sono l’unico spasmo che mi dai e io non capisco perché devo sottostare ai tuoi tempi, aspettare quando se ne va, te ne vai, alla durata e al modo di rompersi della bolla che ho da giorni, giorni senza voler sapere se hai mangiato.