La verità, vi prego, sulla colpa

Riassunto della puntata precedente

L’altra volta dicevo di stare leggendo Fame, di Roxane Gay, tradotto da Alessandra Montrucchio e pubblicato da Einaudi ai primi di marzo del 2018. L’ho finito. Quando sottolineo frasi intere su un libro succede spesso che a un certo punto arrivi l’opportunità di annotare pagine intere. In questo caso stiamo parlando quasi della fine, 226 e 227, dove si parla di fortezza.

Cover di Fame, di Roxane Gay, edito da Einaudi Stile Libro
La copertina del libro, dal sito dell’editore

Fare fortezza

È una parola che mi piace molto. Ha un verso prettamente femminile — è un sostantivo femminile — uno imaginifico — dà spazio a torri, caponiere, mura alte e spesse — uno religioso – è una delle quattro virtù cardinali e uno dei sette doni dello Spirito Santo – e uno tecnico: la fortezza è un pezzo di rinforzo tra la stoffa e la fodera, usato per garantire una certa forma ad alcune parti di un abito.

La fortezza è il corpo che Roxane Gay decide di costruirsi, quel pezzo che garantisce una certa forma e assicura protezione e chiusura.

La verità sul corpo è quasi sempre espugnare una fortezza, ognuno ha la sua, e Fame racconta la verità sulla vergogna e la ribellione, che costruiscono fortezze potenti e solide. Nomina ogni cosa senza fronzoli: il senso di colpa, da dove arriva, come si sviluppa, come cresce e come appassisce per ritornare, come diventa cronico e porta chi lo subisce a domandarsi in continuazione come sarebbe stato se non avesse mai costruito una fortezza, in prima istanza.

La colpa è costruttiva, laddove ci si arrende e chiunque si arrende, almeno una volta nella vita. La resa inesorabile è seme che fruttifera, ossa che sostengono, tessuti che connettono; la fortezza spinge all’angolo, mentre si cerca il modo di respingere i pugni, un modo spesso incolto e ingenuo e totalmente impreparato.

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Sardegna, agosto 2012

A metà libro ho tirato fuori una foto che amo, ma in cui sono davvero terribile, fisicamente Fotografia, Sardegna 2012parlando; ma la amo, davvero, come poche altre; mi torna in mente spesso, a volte la richiamo io stessa, per godere delle sensazioni e delle percezioni, degli spilli sulla pelle.

Quello a destra è l’amore della mia vita e sino a tre settimane fa ero profondamente angosciata da questa immagine; dovrei esserne grata, e lo sono, ma faccio anche fatica ad ammettere di non essere abbastanza coraggiosa per separare la meraviglia dai difetti, per prenderla correttamente e dalla parte esatta, per vedere solamente il meglio e non usarla per cementare la mia fortezza.

A fine libro l’ho stampata, l’ho messa a faccia in giù nel cassetto della scrivania, ogni tanto lo apro quando mi siedo al computer. La guardo, provo a girarla; a volte ci riesco, altre no. Alla fine di questo libro mi sembra che ci siano delle possibilità.
Ho conosciuto alcuni meccanismi narrativi, ho infilato tutti gli episodi principali della storia del mio corpo e ho pensato che la verità nel mio va ascoltata e messa in discussione, criticata, sorpassata, abbassata alla mia altezza. E sfidata.

Mi potrei concedere il lusso di credere di batterla.