Caro Osvaldo

1. Tu sì che capisci le donne.

Quando posso ritardo di mezz’ora – bastano anche solo venti minuti – e sorrido perché c’è una signora coi capelli brizzolati e corti; sorride di riflesso e fa un cenno con la testa, tutte le volte, a quelli che entrano e si girano attorno per cercare un posto a sedere; ti guarda come se ti stesse aspettando. In metropolitana non incrocio lo sguardo di nessuno: al lunedì mattina ci sono i pendolari, quelli che vanno a lavorare, gli studenti del Politecnico e non c’è posto per nient’altro.
La prima volta il posto vicino a lei è libero, mi siedo lì, sono ingombrante, lei sta ferma. Mi guarda, mi sorride sempre e io pure continuo a sorriderle. Ha gli occhi color nocciola, piccoli, che si fanno sottili a ogni movimento della bocca, labbra levigate, da ragazza, gli occhi sembrano due noci, m’accompagna fino a Lambrate. La prossima volta, lo so, mi dirà un segreto.

Rita, dimmi che vuoi da mangiare.
Niente, non voglio niente.

Rita non mangia mai ed è grassissima. Non è un problema di cibo, è un problema di mente, di polmoni, di tutto il resto: insomma è un problema di cuore. Da quando la conosco la metto nella rivista in cui lavoro, nella posta del cuore che non risponde alle debolezze, alle imperfezioni, alle persone, ma solo alle lettere dei lettori, lettrici per lo più.
Io per mestiere scrivo una posta del cuore di una rivista e non mi sono mai domandato perché, fino al giorno in cui l’ho incontrata. E’ un lavoro, ci devo vivere, mica posso fare lo scrittore. In più sono maschio, mi chiamo Osvaldo, ma avere due sorelle mi aiuta molto. A volte chiedo direttamente a loro cosa rispondere, si divertono, fanno ipotesi, mettono le virgole e io non ci penso più di tanto; scrivo, spengo il pc e vado a casa.
La posta del cuore è una di quelle cose che resiste a ogni innovazione culturale e tecnologica. L’editoria morirà, i libri saranno digitali ma la posta del cuore la leggeranno sempre tutti. Una signora una volta mi ha scritto “Cara Teresa, lei sì che capisce le donne.” Sul giornale mi chiamo Teresa, come mia sorella. La lettrice era mia madre, ma non le ho risposto: non ha ancora capito cosa faccio di mestiere. Si usano sempre altri nomi per quelli che scrivono la posta del cuore, così si evita il coinvolgimento emotivo, come nei film porno quando sono finti, si è più obiettivi, si dice; Sembra facile, basta scrivere un consiglio, come a una mia amica, come a mia sorella, ma invece queste donne ci credono sul serio a quello che scrivo. Responsabilità, sento sempre responsabilità.

Rita lo ha capito benissimo invece che lavoro faccio: era il suo sogno avere una posta del cuore.
Se qualcuno mi avesse detto una volta fai così e non così, forse chissà ora non abiterei questo seggiolino del metrò.

A Lambrate scendo in fretta, ma gli ultimi gradini sono sempre lenta, non sono una da ultimo minuto; durante l’ultimo minuto c’è sempre il pensiero sbagliato che sceglie la direzione opposta, non sono un musicista, non so improvvisare e finisce che mi perdo sempre.
Federica e Gianni litigano sullo spiazzale di cemento caldo anche stamattina. Vanno avanti da quasi una settimana, forse si lasceranno tra un po’, non si baciano più ogni mattina tra le nove e le nove e dieci, prima che arrivi il treno; da quando lavoro in quella rivista noto molto più spesso come sono innamorate le persone, quello che dicono del loro amore mi interessa sempre meno, sono sempre delle bugie, incastonature dentro le righe, nella cornice delle e-mail, nel setaccio della vergogna di dire le cose come stanno.
Come si muovono gli innamorati non mente mai: lo scarto che si danno e gli sguardi che si lanciano, le volte che puntuale arriva l’incrocio sulla stessa canzone, lo sguardo di sottecchi per tenersi d’occhio senza far vedere di essere gelosi, tenersi per mano quando non c’è nessuno, perché il segreto è il successo. I gesti sono la naturalezza e la seduzione dell’amore, l’ho letto da qualche parte, è una frase che ai miei lettori piace molto: il detto indica, il non detto seduce.
Alle mie sorelle piacerebbero Federica e Gianni perché si perdono in parole, loro potrebbero ascoltarli come le soap opera in tv, tinti di giallo e verde, coi colori che fanno schifo perché l’importante è dire ti amo col tono che t’aspetti non con le reticenze.
Le reticenze non piacciono a nessuno. Le lettere che ricevo parlano solo di fare qualcosa per, mettersi in animo di, ma mai di stare zitti.
Eppure, dico io, se si riesce a star zitti in due senza specchio è fatta. Io la penso facile, non so che farci. La penso così da quando ho iniziato a guardare le ragazze. La penso che se ti metti a fare una dichiarazione sincera a una donna, lei non può non starci.

Invece no.
Eh no.
Rita, t’ho fatto la frittata.
Ok, la frittata la mangio.

2. Tu sì che capisci le donne.